Paceco
La nascita di Paceco, paese solare di antica civiltà contadina, posto al centro di un triangolo di antiche civiltà, quali la drepanense, l'ericina e la lilibetana, è legata ad un movimento di natura sociale e politica, voluto dalla monarchia spagnola, tra il XVI ed il XVII secolo, proteso ad alleviare alcune piaghe che affligevano il territorio siciliano, quali il nomadismo, il banditismo e soprattutto le carestie ricorrenti.
Il fenonemo che viene definito della “fondazione dei nuovi centri abitati o delle nuove città”, fu largamente diffuso soprattutto nel secolo XVII, allorquando il governo spagnolo, sollecitando le famiglie feudatarie siciliane, con la concessione di nuovi e più importanti titoli nobiliari, dette vita a circa cento nuovi comuni feudali.
Paceco, fondata dal Marchese di San Lorenzo, Placido Fardella, sostengono gli studiosi di urbanistica, è uno dei migliori e splendidi esempi di fondazione, con una pianta a griglia, formulata da ampie e diritte strade, convergenti in una splendida piazza (attuale piazza Vittorio Emanuele) panoramica, con una visione conoottica eccezionale sul litorale, dalla Colombaia alle Isole Egadi.
Prende il nome dalla spagnola Maria Pacheco, nobilissima moglie di Placido, e nipote del Vicerè di Spagna in Sicilia, don Giovanni Fernandez Pacheco, Marchese di Villena. Il paese sorge su di un'altura tufacea, appena percettibile sulla pianura, luogo mitico conosciuto come il campo di Ercole, ed abitata fin dalla preistoria, di cui conserva tracce notevoli nell'Antiquarium Comunale. La collina, con il toponimo “Misiligiafari” fece parte di un antico “tenimentum “ arabo, il Manzil al Giafar, casale o luogo di sosta, probabilmente appartenuto all'emiro Giafar, potente sovrano di Sicilia della dinastia aglabita.
Il manzil arabo, costruito verosibilmente sul basamento di un fortilizio bizantino, nell'area del timpone Castellaccio, fu teatro di vicende legate ai postumi della Guerra del Vespro. Il manzil venne distrutto dalle truppe angioine di Carlo d'Angiò, nel 1314, durante l'assedio di Trapani, così come testimonia lo storico Pugnatore.
Nella Chiesa madre, di gusto barocchetto, progettata dall'architetto Giovanni Biagio Amico, sono sono conservate quattro stupende pale d'altare della fine del secolo XVII, attribuite da Ferdinando Bologna al pittore Andrea Malinconico.
Qui, nelle sere d'estate, allietate dalla musica, il tempo trascorre piacevolmente conversando e gustando un gelato o una granita preparati artigianalmente secondo ricette tradizionali. I Cannoli di ricotta e i dolci di Dattilo sono tentazioni alla quale è difficile resistere. La cortesia, la disponibilità e il calore umano, caratteristiche dei suoi abitanti, rendono il paese accogliente ed ospitale.